STIAMO PARLANDO DI UOMINI E DONNE
In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato vogliamo condividere le parole di chi, per anni e ancora oggi, sfida l'inumanità e cerca di porre rimedio a tante barbarie. Ancora per tanti non è chiaro che chi arriva sui barconi o a piedi, chi si avventura in un nuovo paese o in un nuovo stato, non lo fa perché vuole farlo, ma perché le condizioni in cui altri hanno reso il suo territorio sono diventate invivibili e senza futuro. Ancora per tanti non è chiaro che non tutti hanno il permesso di prendere un aereo ed uscire legalmente dal proprio paese, perché troppo povero ed oppresso da potere e volere dare visti regolari. Ancora per tanti non è chiaro che dopo tutte le barbarie di un percorso costoso da sfruttati e violentati, un cammino degradante, si è costretti a salire su imbarcazioni con i fucili puntati. Ancora per tanti non è chiaro che stiamo parlando di uomini e donne, spesso bambini, e non di un carico di bestiame. Desideriamo recuperare le parole di Pietro Bartolo, il medico che da oltre 25 anni accoglie i migranti a Lampedusa, per ricordare e non lasciare che l'indifferenza copra una moltitudine di disumanità.
Dal libro Lacrime di sale, Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, Ed. Mondadori 2016
Il problema è l'uomo non Dio
Mi è stato spesso chiesto se ogni tanto non vacilli la mia fede in Dio che consente tutto questo dolore. Dio? Che cosa c’entra Dio. A causarlo sono gli uomini, non Dio. Uomini avidi, spietati, che credono solo nel denaro e nel potere. E non sto parlando di chi organizza la tratta degli essere umani. Parlo di chi la consente, di chi vuole tenere il resto del mondo nelle povertà, di chi alimenta i conflitti, li sostiene e li finanzia. Il problema è l’uomo, non Dio.
Vendere un rene per scappare dal proprio paese. Per pagare il
biglietto di un viaggio troppo costoso. E' questo che fanno ogni giorno tanti
disperati.
Non volevo crederci. Mi sembravano esagerazioni giornalistiche. E invece è tutto vero. A provarlo sono le cicatrici che mi capita di trovare sempre più spesso quando visito i profughi. Quello che ho scoperto è uno scenario agghiacciante. Un business che parte dall'Africa e si estende in decine e decine di Paesi. quasi il dieci per cento dei reni trapiantati in Occidente viene espiantato illegalmente. E a dichiararlo è l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Mi ha sconvolto ulteriormente scoprire la rete di medici, di tecnici, analisti, professionisti che sta dietro a tutto ciò. Perché togliere un rene, conservarlo in modo appropriato e poi effettuare il trapianto non è in gioco da ragazzi.
Alla base c’è, come sempre, un enorme flusso di denaro, che
parte dai paesi “sviluppati” e che torna in quegli stessi paesi. Il denaro è un
demone che continua succhiare senza alcun ritengo il sangue di intere
popolazioni soggiogate e impotenti.
Dal traffico di esseri umani a quello di organi umani. Reso
ancor più semplice d’avere trasformato le persone in numeri senza identità e
per questo, quindi, facili da eliminare senza lasciare tracce.
3 ottobre 2013
Alle 7.30 del 3 ottobre ricevo al cellulare una telefonata
dal comandate delle capitaneria. “Dottore, per favore, venga subito in banchina.
C’è stato naufragio e ci sono tanti morti”.
Sono già qui comandante rispondo. Non me ne sono mai andato,
abbiamo appena finito con i due sbarchi di stanotte. Vi aspetto.
Trascorre un quarto d’ora. Al molo giunge una barca di otto metri. Quella di Vito Fiorano. Conosco bene Vito, fa il pescatore e accompagna quando può i turisti per mare. Questa notte, sulla Gamar, ne portava otto. Con lui c'è Grazia; viene spesso a Lampedusa nella stazione perché sua sorella qui gestisce una negozio. Vedo da lontano che sta piegando, è stravolta, la sua diventerà la prima immagine simbolo di quella immane tragedia.
Lei e vito erano usciti per una battuta di pesca notturna
alla Tabaccara, un luogo incantevole dove, quando fa buio basta alzare gli
occhi per godere di un cielo stellato indimenticabile. Solitamente, i turisti
trascorrono l’intera notte in mare e, dopo aver dormito in barca, rientrano in
porto il mattino successivo.
Sulla Gamar stanno dormendo tutti quando, all'alba, il compagno di Grazia inizia a sentire in lontananza delle voci che crescono. Sembrano urla. "Saranno i gabbiani," lo tranquillizza Grazia "oppure turisti più chiassosi di noi." L'uomo, però, non si rassegna affatto e chiede a Vito di fare rotta verso il punto da cui paiono provenire quelle urla. Che, più si avvicinano, più diventano forti, nette. E, a poco a poco, davanti ai loro occhi si palesa una visione che ha dell'incredibile. Il mare è pieno di gente che chiede aiuto. E di corpi senza vita. E non si vede traccia di alcun barcone. Non si vede perché è affondato proprio all'imboccatura del porto. Oltre cinquecento persone in preda al panico a pochi metri dalla riva. Chi ha iniziato a nuotare, chi è annegato subito. Chi è rimasto intrappolato nella stiva e non ce l'ha fatta a uscire. La corrente ha trascinato i superstiti verso l'Isola dei conigli, ed è lì che li trovano Vito e i suoi ospiti.
Sulla Gamar, il caos. Mani, braccia, che si allungano cercando di afferrare quanti più naufraghi possibile. Quarantanove ne recuperano in tre ore. Al molo arrivano tutti bagnati e unti di gasolio. "C'è il mare pieno di morti". Noi capiamo che il disastro è di proporzioni gigantesche.
In mare sono uscite le motovedette di tutte le forze dell'ordine presenti sull'isola. Ogni uomo e mezzo disponibile è ora nell'area del disastro. Torno in banchina, pronto ad accogliere altri sopravvissuti. Invece, iniziano ad arrivare soltanto i morti. In poche ore ne contiamo centoundici.
Giro attorno al primo sacco. Lo apro. Dentro c'è un bambino. E' bellissimo. Indossa un paio di pantaloncini rossi. Così ben vestito, era pronto a iniziare la sua nuova vita.
Inizio le ispezioni. Apro i sacchi uno per uno. Almeno venti di quei disgraziati tengono in bocca una catenina col crocifisso. Stretta tra i denti. Come se l'ultimo gesto prima di morire fosse stato quello di affidarsi a Dio.
Quindici giorni e quindici notti. Scanditi dagli stessi ritmi. Guardare trecentosessantotto sacchi allineati era stato straziante.
Lampedusa in quei giorni dovette utilizzare tutte le proprie forse per affrontare un'emergenza senza precedenti. Numerosissime famiglie avevano aperto le loro case per
accogliere i sopravissuti e si erano prese cura di loro, ma stavamo anche
combattendo contro una burocrazia che, invece, non riusciva a dare risposte in
tempi rapidi. In Comune e al poliambulatori le urla del sindaco e le mie erano
continue. Chiedevamo attenzione e aiuto concreto.
Per mesi non riusciamo a pensare altro. Il 3 ottobre, ne eravamo consapevoli, aveva cambiato per sempre la nostra storia.