La seconda guerra mondiale è costato all’umanità anni di sofferenze, distruzione e massacri e un bilancio delle vittime compreso tra i 55 e i 60 milioni. Al suo termine, nel 1945, uomini e donne di tutti i Paesi hanno dato vita alle Nazioni Unite, un organismo internazionale che potesse aiutare a mantenere la Pace, a sviluppare relazioni amichevoli tra nazioni e a cooperare per la risoluzione dei conflitti nel tentativo di porre fine alle guerre presenti e future.
Nonostante le lodevoli premesse, la realtà dei giorni nostri descrive purtroppo un mondo decisamente diverso dove al momento sono circa 59 le guerre aperte. Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità.
«La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme» sosteneva Gino Strada nel 2015 a Stoccolma, in occasione del premio assegnatogli per la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia.
Il 4 agosto 2025 si è concluso il Simposio delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar, che ha concentrato l'attenzione dei Vescovi sul tema “Cristo, fonte di speranza, riconciliazione e pace: la visione della Chiesa-Famiglia di Dio in Africa per i prossimi 25 anni (2025-2050)”. Al di là delle grandi sfide che la Chiesa deve affrontare in Africa, si è convinti che segni di speranza ci sono già.
Come filo conduttore dei lavori, i vescovi hanno scelto il cammino sinodale avviato da Papa Francesco, ponendosi, come obiettivo, quello di rendere Cristo sempre presente nelle diverse comunità: "Egli è la ragione della nostra speranza e del nostro impegno a portare la croce al suo seguito". Esortano poi le comunità locali ad aprirsi alla speranza cristiana, che si fonda sulla priorità del Regno di Dio. È su di essa che i cristiani dell'Africa e delle isole dovranno fare affidamento per diventare "architetti" del loro continente. Essa non è un guscio vuoto né una fuga dalla realtà umana concreta, avverte il Secam. "È un impegno, una presenza attiva, nel nome del Signore Gesù, accanto a coloro che soffrono, a coloro che subiscono ingiustizie, a coloro che sono lasciati ai margini".
A livello continentale, non si può dire che esista un'unica strategia, data la varietà della natura dei conflitti. Tuttavia, abbiamo preso come esempio il caso della Repubblica Democratica del Congo, dove la Chiesa cattolica e quella protestante hanno avviato l'iniziativa denominata “Patto per la pace e il vivere meglio insieme”. Questa iniziativa è stata accolta con favore e sostenuta da tutti i partecipanti come un esempio concreto da replicare in altre situazioni simili.
Il primo compito della Chiesa è quello di un'evangelizzazione profonda. Un popolo evangelizzato, trasformato dall'interno e consapevole del proprio ruolo profetico, non può che risollevare la nazione. Il secondo aspetto è legato al lavoro che la Chiesa deve svolgere in termini di azioni o iniziative concrete per la riconciliazione tra i popoli.
Nonostante le lodevoli premesse, la realtà dei giorni nostri descrive purtroppo un mondo decisamente diverso dove al momento sono circa 59 le guerre aperte. Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità.
«La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme» sosteneva Gino Strada nel 2015 a Stoccolma, in occasione del premio assegnatogli per la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia.
Il 4 agosto 2025 si è concluso il Simposio delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar, che ha concentrato l'attenzione dei Vescovi sul tema “Cristo, fonte di speranza, riconciliazione e pace: la visione della Chiesa-Famiglia di Dio in Africa per i prossimi 25 anni (2025-2050)”. Al di là delle grandi sfide che la Chiesa deve affrontare in Africa, si è convinti che segni di speranza ci sono già.
Come filo conduttore dei lavori, i vescovi hanno scelto il cammino sinodale avviato da Papa Francesco, ponendosi, come obiettivo, quello di rendere Cristo sempre presente nelle diverse comunità: "Egli è la ragione della nostra speranza e del nostro impegno a portare la croce al suo seguito". Esortano poi le comunità locali ad aprirsi alla speranza cristiana, che si fonda sulla priorità del Regno di Dio. È su di essa che i cristiani dell'Africa e delle isole dovranno fare affidamento per diventare "architetti" del loro continente. Essa non è un guscio vuoto né una fuga dalla realtà umana concreta, avverte il Secam. "È un impegno, una presenza attiva, nel nome del Signore Gesù, accanto a coloro che soffrono, a coloro che subiscono ingiustizie, a coloro che sono lasciati ai margini".
A livello continentale, non si può dire che esista un'unica strategia, data la varietà della natura dei conflitti. Tuttavia, abbiamo preso come esempio il caso della Repubblica Democratica del Congo, dove la Chiesa cattolica e quella protestante hanno avviato l'iniziativa denominata “Patto per la pace e il vivere meglio insieme”. Questa iniziativa è stata accolta con favore e sostenuta da tutti i partecipanti come un esempio concreto da replicare in altre situazioni simili.
Il primo compito della Chiesa è quello di un'evangelizzazione profonda. Un popolo evangelizzato, trasformato dall'interno e consapevole del proprio ruolo profetico, non può che risollevare la nazione. Il secondo aspetto è legato al lavoro che la Chiesa deve svolgere in termini di azioni o iniziative concrete per la riconciliazione tra i popoli.
Concludendo il suo messaggio, il Secam raccomanda a tutti i leader politici di avere a cuore il bene dei popoli che governano e di proteggere i più deboli promuovendo il dialogo e una migliore convivenza. Allo stesso tempo, invita la Chiesa, testimone della sofferenza della popolazione nelle zone di conflitto armato, a "impegnarsi in modo più vigoroso in termini di sensibilizzazione e azione concreta per la pace".