NON SIAMO GLI UNICI AL MONDO

La missione cresce anche perché purtroppo la povertà non diminuisce.
Negli ultimi tre anni il Madagascar è passato dall’8° al 5° paese più povero al
mondo. Se la capitale accenna tratti di modernizzazione con strutture simili
all’occidente, la vita delle persone è rimasta povera, o meglio, è andata via
via peggiorando. Una delle differenze più grosse che ho trovato rispetto
all’ultima volta che sono stata in terra malgascia, è la situazione della
strada. Se 10 anni fa vi era un’unica strada che collegava il nord e il sud del
Madagascar, e a mio avviso era segno di una grande povertà, perché si trattava
di una rete di comunicazione unica e ristretta, oggi quell’unica strada è
rimasta tale, peggiorando addirittura le condizioni dell’asfalto, e
riempiendosi di buche che non permettono di proseguire se non ai 20 all’ora.
Ovviamente la questione della viabilità è strettamente collegata alla possibilità di sviluppo. Meno trasporti, maggiore difficoltà di spostamento, meno commercio libero e meno opportunità. Inoltre, viaggiare su strade così disagiate diventa possibile solo a chi ha la possibilità di mezzi adeguati, rendendo così la ricchezza mineraria dell’isola monopolio dei ricchi.
Questo limite di viaggi, certamente permette alla terra, così bella e “naturale”, di conservarsi tale. Lo sviluppo edilizio è privilegio pressoché della capitale. Viaggiando verso il sud si gusta il paesaggio incontaminato, miglia e miglia di natura in cui nessuno abita. I nostri occhi non sono abituati a un ambiente così inalterato.
Abbiamo notato che in questi anni, grazie al progetto delle adozioni,
è aumentato il grado di istruzione dei bimbi da noi aiutati. Ho avuto la
fortuna di incontrare un gruppo di universitari, che, insieme alle ragazze
italiane in esperienza missionaria quest’estate, hanno vissuto una giornata
insieme di confronto e di scambio di idee. I giovani malgasci ci raccontavano
dell’importanza dello studio per la loro vita, ma dell’impossibilità, o meglio
della non convenienza, di realizzare un corso all’estero, in quanto al loro
rientro non riuscirebbero a trovare lavoro. In qualche modo lo Stato penalizza
la libera specializzazione, e di conseguenza l’importazione di nuove mentalità.
Tutto ciò può essere condizionato da una cultura isolana, e da un’evidente
restrizione nello sviluppo. Rimane comunque difficile giudicarlo.
L’esperienza di fede è vivace e attraente. La fiducia nella presenza di Dio, il desiderio e la necessità di affidarsi a Lui, sono tratti molto presenti, così come la bellezza del sapere fare festa la domenica dedicando il proprio tempo alla comunità parrocchiale. Le celebrazioni sono animate, con o senza presbitero. La preghiera è condivisa.
Come ogni realtà, anche quella della religione presenta un’altra occasione di riflessione, perché così come sono piene le chiese e come la gente è intenta alla preghiera personale e comunitaria, così mi ha profondamente colpito il disgregarsi della società, in atto più che mai anche in Madagascar. Avevo conosciuto anni fa il popolo malgascio come accogliente, attento, fraterno, soprattutto nelle situazioni di fragilità. Ora ho ascoltato il racconto di tante famiglie che si separano, di bimbi abbandonati dai genitori e lasciati in cura ai nonni, di ricatti economici tra parenti anche per le case o le risaie, unica fonte di sostentamento. Da stranieri è sempre facile giudicare. Perciò descrivo tutto ciò come un interrogativo che mi sono portata a casa, ma che non annuncia soluzioni o proclami.
In tutta questa situazione politica, ambientale, sociale,

suor serena