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10 anni? No, 90!!!

10 anni? No, meglio dire 90 anni!

Ogni giornale porta il suo titolo, caratteristico uno schieramento, per mettere in luce, con parole diverse, lo stesso fenomeno di uomini e donne che in cerca di vita hanno trovato indifferenza e morte, o meglio oggi potremmo dire, indifferenza e morte e di nuovo indifferenza. Fare memoria potrebbe salvare la storia, non quella passata, quella futura. La nostra e quella dei nostri giovani.

Papa Francesco in un'intervista dello scorso anno, il 7 luglio 2022, ha citato un libro, appena uscito, "Sindrome 1933". Lo ha ripreso per rispondere ad una domanda sulla chiesa. Ma forse oggi, nel 10° anniversario della strage di Lampedusa, lo si può tranquillamente riaprire e offrire alle coscienza di uomini e donne di buona volontà. Primo Levi direbbe: "Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no."

Ebbene, l'autore S. Ginzberg, ammette che in realtà la storia non si ripete mai allo stesso modo. Allora perché riaprire un cold case, un dossier chiuso e sepolto, una storia ormai passata in giudicato? Il sostantivo "sindrome" indica in medicina una serie di sintomi e segnali che costituiscono le concause di una malattia o processo degenerativo. Il nostro mondo è diverso da quello del 1933, anno in cui è stato è eletto Hitler al potere. Ma alcuni sintomi, segnali, processi, atteggiamenti si assomigliano. 
Venivano dall'Est. Fuggivano guerre, stragi e povertà. Nelle fantasie alimentate dalla stampa erano ladri, assassini e stupratori. Uno dei primi provvedimenti del nuovo governo fu un "Decreto immigrazione" che bloccava ogni ulteriore arrivo di ebrei. Gli Ebrei orientali era gente che emigrava a piedi, col treno o per mare verso i paesi occidentali dove li attendeva un nuovo ghetto, magari un po' migliore ma non meno inumano, pronto ad accogliere nelle sue tenebre i nuovi ospiti scampati semivivi alle vessazioni dei campi di concentramento. Per l'ebreo orientale l'Occidente era libertà, possibilità di lavorare e di estrinsecare il proprio talento, era giustizia... Ma non sapeva cosa lo aspettava. 
L'ebreo orientale viveva con la paura addosso, aveva solo doveri e nessun diritto, fuorché quelli scritti sopra un pezzo di carta che, com'è noto, non garantisce nulla. 
L'ebreo era uno straniero, era un immigrato. I migranti erano (e sono!) delinquenti. Quindi gli ebrei erano criminali. Tutti gli ebrei erano criminali. Questo il sillogismo che avrebbe portato allo sterminio. Così come oggi. Se sono stranieri, allora ci vogliono male, sono criminali, ladri, sfruttatori di prostitute, portatori di malattie, sabotatori dell'economia nazionale, e ovviamente terroristi. 
L'ordinanza del ministero degli Interni imponeva: 1. Vietare ogni ulteriore immigrazione di ebrei orientali; 2. Espellere gli ebrei orientali privi di permesso di soggiorno; 3. Mettere fine alla naturalizzazione degli ebrei orientali. Poco dopo fu deciso di revocare la cittadinanza tedesca anche a quelli che già ce l'avevano. Quella dell'invasione da parte di profughi e immigrati era un'ossessione. La propaganda nazista indirizzava verso un obiettivo preciso: gli ebrei provenienti dall'Oriente, i profughi, "estranei" al corpo di una nazione altrimenti felice e compatta introducono corruzione, criminalità, malattie. Sovrapposizioni di immagini di migranti laceri e topi immondi che scendono dai barconi, illustravano scientificamente quanto fosse invasa l'Europa.
Era evidente che non si sarebbero limitati a chiudere le frontiere e porti agli indesiderati. Bisognava sbarazzarsi anche di quell'oltre 80 per cento degli ebrei con cittadinanza tedesca. Quelli integrati, che avevano combattuto la Grande Guerra al fianco della nazione che li considerava "stranieri". Si arrivò al pugno duro, si allestirono campi. 
La storia ora ci è chiara. 

E allora 
voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
Considerate se questo è un uomo
che muore per un si o per un no.

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